Chi siamo

Progetti

Documenti

Carte

Luesi illustri

Marcantonio Bobba (Lu 1500 - Roma 1575)

Figlio del Conte Palatino Alberto e di Margherita Santamaria (zia di Carlo Borromeo) dei signori di Rosignano, nacque (a Casale o a Lu) da una nobile famiglia del Marchesato del Monferrato.

Seguì la sua famiglia nello stato sabaudo, quando il padre, già consigliere dell'ultimo marchese, passò al servizio del duca di Savoia Carlo II. Si addottorò in diritto civile e canonico a Torino e si mise in evidenza rapidamente presso il duca negli anni durissimi che il ducato sofferse con la ripresa delle lotte franco-asburgiche dal 1536; dopo il 1540 divenne "senatore" e consigliere ducale. Nel 1550 divenne anche conservatore degli Ebrei, preposto cioè alla cura della giustizia relativa ad essi nello Stato; nel 1555 succedette al padre nel governo di Vercelli. Entrò presto nelle grazie del duca Emanuele Filiberto di Savoia, grazie al quale ottenne numerosi benefici ecclesiastici (fu Abate Commendatario di Pinerolo, Caramagna e San Giusto a Susa): dovette ricevere gli ordini minori attorno al 1556.

I suoi biografi hanno sempre celebrato la competenza che egli mostrò di possedere o di acquistare rapidamente nell'esercizio delle sue funzioni, e le sue qualità di equilibrio politico. Si noti come egli avesse prima proposto che il Tribunale fosse ricostituito distinto dal Senato ( Consiglio cum domino ), e quindi potesse pure giudicare in ultima istanza delle decisioni del Senato. La condizione aristocratica del Bobba, la presenza nella sua famiglia di collaboratori di principi, la sua dottrina e competenza, contribuirono a fare di lui un franco e leale collaboratore del duca Emanuele Filiberto.

Intorno al 1556 lasciò lo stato laicale e divenne ecclesiastico, dopo aver rinunciato alla primogenitura e ai relativi beni e prerogative a favore del fratello Ascanio. Emanuele Filiberto lo inviò a Roma come suo ambasciatore presso la Santa Sede: papa Paolo IV lo elesse vescovo di Aosta il 14 giugno 1557, e in tal veste prese parte ad alcune fasi del Concilio di Trento; il Bobba ricercò inoltre una forma di collaborazione con i Valdostani. Iniziò subito un rapporto fattivo con il suo clero, convocando già nell'aprile 1558 un sinodo, che raccolse ad Aosta parroci e vicari da tutte le parrocchie della diocesi ed ebbe modo di rilevare vecchi mali e avviò con la necessaria insistenza la ricerca dei rimedi.

Non riuscì però a seguire la sua diocesi in maniera costante, poiché risiedette quasi sempre a Roma, dove partecipò al governo dello Stato della Chiesa (fu ispettore alle acque, ai ponti e alle pubbliche strade di Roma). Il cardinale Giovanni Angelo Medici ( zio di san Carlo Borromeo) che aveva presieduto la sua consacrazione episcopale, divenuto papa con il nome di Pio IV, lo innalzò alla dignità cardinalizia nel concistoro del 12 marzo 1565: ottenne il titolo di San Silvestro in Capite e, nel 1572, optò per quello di San Marcello. Nel 1568 si dimise dalla carica di vescovo di Aosta, rispettando le nuove norme del concilio di Trento, che prescrivevano la presenza del vescovo nella propria diocesi.

Della sua grande amicizia e costante rapporto epistolare con san Carlo Borromeo e il duca Emanuele Filiberto di Savoia rimangono numerose lettere nell’Archivio di Stato di Torino e nella Biblioteca Ambrosiana. Morì a Roma nel 1575 e fu sepolto nella chiesa certosina di Santa Maria degli Angeli, ai piedi del monumento funebre di papa Pio IV. Marcantonio Bobba resta uno dei più illustri personaggi lussi e monferrini. Lu gli ha intitolato la via prospiciente il palazzo costruito da Antonio Bobba.

Filippo Rinaldi (Lu 1856 - Torino 1931)

Ottavo di nove figli, il suo temperamento giovanile non fu quello che ci si potrebbe propriamente aspettare da un santo, ma il celebre santo dei giovani seppe scorgere anche in lui una buona stoffa per farne un buon educatore. Filippo conobbe infatti Don Bosco nel suo paese natio già in tenera età, durante una delle tante passeggiate che il santo sacerdote faceva con i suoi giovani. A dieci anni il padre lo iscrisse al collegio di Mirabello, che per sua volontà lasciò pochi mesi dopo. Don Bosco gli scrisse, tentando di indurlo a tornare, ma Filippo si mostrò irremovibile. Nel 1874 Don Bosco si recò personalmente a Lu per convincere il giovane Filippo a seguirlo a Torino, ma purtroppo senza successo. Solo tre anni dopo Don Bosco riuscì finalmente a persuaderlo conquistando il suo cuore e, all’età di ventuno anni, il Rinaldi intraprese a Sampierdarena il cammino per le vocazioni adulte.

Nel 1880, dopo il noviziato, nelle mani dello stesso don Bosco, emise i voti perpetui. Grazie alla santa insistenza di Don Bosco, nel dicembre del 1882 Filippo rispose alla chiamata del Signore e ricevette l’ordinazione presbiterale. Poco tempo dopo il santo fondatore lo nominò direttore a Mathi, un collegio per vocazioni adulte che poi fu trasferito a Torino. A pochi giorni dalla morte di Don Bosco, Don Rinaldi volle confessarsi da lui e questi, prima di assolverlo, ormai senza forze, gli disse soltanto una parola: “Meditazione”.

Nel 1889 Don Michele Rua, primo successore di Don Bosco, lo nominò direttore a Sarria, nei pressi di Barcellona in Spagna, dicendogli: “Dovrai sbrigare cose assai delicate”. In tre anni, con la preghiera, la mansuetudine e una presenza paterna e animatrice tra i giovani e nella comunità salesiana, risollevò l’opera. Venne allora nominato Ispettore di Spagna e Portogallo, contribuendo in modo allo sviluppo della Famiglia Salesiana in terra spagnola. In soli nove anni, anche grazie all’aiuto economico dato dalla venerabile nobildonna Dorotea Chopitea, Don Rinaldi fondò ben sedici nuove case. Don Rua dopo una visita ne restò impressionato e, in seguito, lo nominò Prefetto generale della Congregazione. Nel nuovo incarico, don Rinaldi continuò a lavorare con zelo, senza mai rinunciare al suo ministero sacerdotale. Svolse il suo compito di governo con prudenza, carità e intelligenza.

Dopo la morte del Beato Don Rua, nel 1910 Filippo Rinaldi fu rieletto Prefetto e Vicario di Don Albera, nuovo Rettor Maggiore. Nel 1922 fu eletto egli stesso terzo successore di Don Bosco, il cui spirito dovette adattare ai tempi nuovi, ruolo che evidenziò maggiormente le sue doti di padre e la sua ricchezza d’iniziative: cura delle vocazioni, formazione di centri di assistenza spirituale e sociale per le giovani operaie, guida e sostegno per le Figlie di Maria Ausiliatrice in un particolare momento della loro storia. Grande impulso diede ai Cooperatori Salesiani, istituì le Federazioni mondiali degli ex-allievi ed ex-allieve. Lavorando tra le Zelatrici di Maria Ausiliatrice, intuì e percorse una via che portava ad attuare una nuova forma di vita consacrata nel mondo, che sarebbe in seguito fiorita nell’Istituto secolare delle “Volontarie di don Bosco”.

L’impulso che diede alle missioni salesiane fu enorme: fondò istituti missionari, riviste e associazioni, e durante il suo rettorato partirono per tutto il mondo oltre milleottocento salesiani. Compì numerosi viaggi in Italia ed Europa. Dal pontefice Pio XI ottenne l’indulgenza del lavoro santificato. Maestro di vita spirituale, rianimò la vita interiore dei salesiani mostrando sempre un’assoluta confidenza in Dio ed un’illimitata fiducia in Maria Ausiliatrice, titolo con il quale la Madre di Dio è particolarmente invocata dalla Famiglia Salesiana. Il grande salesiano Don Francesia asserì: “A Don Rinaldi manca solo la voce di don Bosco”.

Il suo processo di canonizzazione ebbe inizio il 5 novembre 1947 e Don Rinaldi fu dichiarato “venerabile” il 3 gennaio 1987. Papa Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 29 aprile 1990 a Roma in Piazza San Pietro. Ancora oggi le spoglie mortali del Beato Rinaldi riposano nella cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino.

Luigi Onetti (Lu, 1876 – Villanova Solaro, 1968)

Secondo Virginia Bertone (1999), Onetti è stata "una delle personalità più interessanti della cultura figurativa torinese d'inizio secolo". Dopo gli studi classici frequentò un anno di Università e poi si dedicò alla pittura. Già all'epoca del liceo aveva dipinto una copia di un ritratto di Antoon van Dyck su una piccola tela. I quadri di Onetti sono realizzati con la tecnica del divisionismo, che abolisce l'impasto dei colori sulla tavolozza e li stende nei loro vari componenti direttamente sulla tela. La fusione dei colori rende maggiore luminosità e si realizza nell'occhio di chi guarda il quadro.

Nel 1898, all'Esposizione generale italiana di Torino, Onetti presentò Il pazzo, quadro che rappresenta un infelice demente e due donne, parenti dello sventurato, che si abbracciano, piangendo ed esprimono il loro dolore straziante. Nello stesso anno (1898) dipinge U Tunè, olio su tela, oggi conservato al Museo d'arte sacra San Giacomo. L'opera "sociale" di Onetti iniziò col quadro I miserabili, poi Il pane e il trittico La vita, comprendente l'amore, il lavoro, il dolore. Questo trittico fu premiato dall'associazione della stampa, nell'esposizione internazionale del 1902 a Torino.

Nel 1901, Giovanni Cena, a proposito di Onetti, scrive "un giovane pieno d'ardimento... affronta i grandi quadri con una disinvoltura stupefacente". In seguito Onetti dipinse Il prossimo, che rappresenta una turba di affamati, invocanti il pane quotidiano, con l'espressione della fame diffusa sulle guance e negli occhi inferociti. Seguì L'esercito del male sconfitto dalle forze nuove che, a destra, mostra la bufera imminente e distruttrice, dipinta con neri nuvoloni e, nella parte restante, fa vedere una moltitudine di figure, che sono le allegorie dei pregiudizi, delle superstizioni, delle menzogne, delle forze brutali. L'arte pittorica dell'Onetti si estese anche ai ritratti, fra i quali si trova quello della moglie, ai paesaggi, alla storia.

Luigi Gherzi (Lu 1889 - Cefalonia 1943)

Figlio di Alberto, di professione agricoltore, e di Savina Borghino. Dopo aver conseguito il diploma di ragioniere si arruolò nel Regio Esercito prendendo parte alla guerra italo-turca e poi alla Prima guerra mondiale.

Assunto il comando del 68º Reggimento fanteria "Palermo" di stanza a Novara con il grado di colonnello, nel 1939 il reggimento assunse la denominazione di 68º Reggimento fanteria "Legnano", in forza alla 58ª Divisione fanteria "Legnano", venendo trasferito a Legnano. Alla testa del suo reggimento dopo una breve permanenza sul fronte occidentale in posizione di riserva, nel marzo 1941 partì per il fronte greco, dove prese parte alle operazioni belliche fino al maggio dello stesso anno. Nel corso del 1941 assunse l'incarico di Capo di stato maggiore della 26ª Divisione fanteria "Assietta", passando l'anno successivo al XIV° Comando della Difesa Territoriale. Promosso Generale di brigata il 1 luglio 1942, assunse poi il comando della fanteria della 154ª Divisione fanteria "Murge", una unità con compiti di presidio militare nei territori jugoslavi, passando nel corso del 1943 al comando della fanteria divisionale della Divisione "Acqui" con Quartier generale sull'isola di Cefalonia.

All'atto della firma dell'armistizio dell'8 settembre 1943, si trovava presso il suo comando ad Argostoli, dove si trovava anche il comando della divisione. Con il peggiorare dei rapporti con i tedeschi, per motivi di sicurezza il generale Antonio Gandin decise di separare i due comandi, trasferendoli in due località ben distinte. Gandin si spostò a Razata, mentre Gherzi si trasferì in località Kokkolata, vicino Keramies, trovando alloggio presso la "Casa del Dottore".

Deciso sostenitore della resistenza contro i tedeschi, s’impegnò ad oltranza nella sua organizzazione. Durante i combattimenti tra le truppe italiane e quelle tedesche, il 22 settembre 1943 il suo comando fu attaccato a colpi di mortaio e circondato dai soldati tedeschi che irruppero all'interno. Sulla porta dell'edificio cadde colpito a morte il tenente colonnello Sebastiano Sebastiani, che aveva tentato di impugnare la pistola d'ordinanza. All’interno furono catturati il generale Gherzi, il suo ufficiale d’ordinanza, tenente Guido Dal Monte, e quattro altri ufficiali. Fatti uscire dall'edificio, gli ufficiali vennero fucilati alle spalle sul bordo del fossato anticarro assieme ai sottotenenti Alberto Drago e Alfredo Porcelli. Testimoni oculari riferiscono che Gherzi si sia girato ed abbia scoperto il petto gridando “Viva l'Italia. Viva il Re”.

Per onorarne la memoria fu decretata la concessione della Medaglia d'oro al valor militare. Le sue spoglie mortali vennero esumate a Cefalonia nel 1965, e successivamente inumate nel Famedio di Novara. In quella stessa città gli fu intitolata una via, e posta una lapide ricordo inaugurata alla presenza dell'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Anche una via di Roma porta il suo nome, così come una piazza del suo paese natale.